Zosterisessor ophiocephalus
Il Ghiozzo gò è comune in acque marine costiere, negli estuari e nelle lagune salmastre, a modeste profondità, su fondali melmosi dove sono insediate praterie di fanerogame, che costituiscono un elemento discriminante per le scelta dell’habitat di questa specie. Non tollera acque eccessivamente dissalate, mentre sopporta bene le basse temperature. È una specie territoriale che utilizza come rifugio tane scavate nel fango tra le radici; le tane assumono strutture e funzioni diverse nel corso dell’anno. L’accesso al rifugio è unico e la profondità sembra essere inversamente correlata alla temperatura dell’acqua. Ogni tana è abitata da un solo individuo. Nei mesi estivi, dopo la riproduzione, gli adulti si portano in acque più profonde dove scavano tane diverse sia da quelle di “svernamento” che da quelle “riproduttive ”. Possono essere costituite da un breve cunicolo che termina in una camera circolare oppure da un tunnel scavato in orizzontale con due accessi. Le pareti interne delle tane, sono compatte e rivestite da una pellicola di muco. È oggetto di forme locali di pesca. Per la cattura sono utilizzati bertovelli o nasse innescate con poltiglia di granchio; un ’esca particolarmente efficace è la “moleca ”, ovvero individui di Carcinus mediterraneus in muta. Il metodo di pesca più specifico, oggi quasi in disuso, rimane tuttavia quello “a braccio” nei mesi invernali, durante la bassa marea, i pescatori camminano per lunghi tratti entro la laguna e, individuata una tana, vi infilano il braccio e catturano i ghiozzi gò.